DOTT.SSA CRISTIANA APOLLONI
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Consigli di lettura - Estate 2021

23/6/2021

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Se c'è una buona abitudine che ho coltivato in questo periodo di pandemia, è sicuramente la riscoperta della lettura. Mi sono immersa in diversi racconti, storie e libri di formazione, grazie ai quali riflettere, incanalare le emozioni e raccogliere pensieri trasmessi dalle vite su carta. 
Viste le imminenti vacanze estive (magari per alcuni di voi già iniziate) vi propongo i libri che più mi hanno colpito durante questo 2020/2021.
​Buona lettura!  
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Photo by Ben White
"Storie di un'attesa" di Sergio Algozzino
Il mondo delle graphic novel mi ha sempre incuriosito, ma fino ad ora aveva lasciato spazio ad altri tipi di letture.
Questo incontro è stato casuale, sicuramente il titolo ha giocato una sua parte.
Quando si parla di attese, vengono subito a mente molte conversazioni svolte durante il mio lavoro, soprattutto quest’anno.
Attese, aspettative e tempo. Tre concetti così densi e importanti, che grazie al disegno impariamo a comprendere di più.
È stata una bellissima scoperta potermi immergere in queste tre storie, nelle diverse epoche e atmosfere raccontante.
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"Resta con me" di Elizabeth Strout
​In questo romanzo veniamo portati in una piccola comunità del Maine, verso la fine degli anni 50. Un racconto carico di emozioni, dove le vite dei personaggi appaiono vere, piene di difetti e sfumature.


“La gente diventa nervosa. Hanno bisogno di prendersela con qualcuno, specialmente quando fiutano la debolezza sotto la superficie di un uomo che credono forte.”
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"Mamma ho l'ansia" di Stefania Andreoli
Gli adolescenti/giovani adulti che incontro per lavoro mi portano una quota d’ansia pesantissima, degli ostacoli che sembrano insuperabili e che hanno come conseguenza una paralisi, una realtà creata nel mondo virtuale perché quello reale non è più disponibile, e dei genitori che anelano alla loro felicità nonostante il contesto in cui siano inseriti rende complicato raggiungerla.

Il libro “mamma ho l’ansia” di Stefania Andreoli affronta questo tema, approfondendo diversi contesti in cui l’ansia si manifesta. È un libro per genitori, educatori e professionisti del settore, ma anche per chi vuole comprendere una parte di sé che magari genera molte domande.
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"La più amata" di Teresa Ciabiatti 
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"La simmetria dei desideri" di ​Eshkol Nevo
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"Il potere del cane" di Romanzo di Don Winslow
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Buone vacanze! 
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Occasioni

11/2/2021

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Quante volte ci troviamo ad aspettare l’occasione perfetta? Attendiamo una sorta di congiunzione astrale per aspettare a muoverci, a fare il primo passo. Poi però sembra che quell’occasione non si presenti mai.
E se provassimo invece a cogliere anche delle piccole opportunità? Senza quell’alone di perfezione intorno. A volte incasellare anche dei piccoli successi quotidiani può darci la giusta spinta, rafforzando il nostro valore e spronandoci a continuare a cercare altre occasioni.
L’attesa del momento perfetto, può nascondere una paura che si lega al “e se poi non ce la faccio?”, allora mi fermo, mi riparo dietro lo scudo della perfezione che mi permette di criticare sempre ciò che non arriva, invece di andarmelo a prendere.


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Finali nuovi

23/12/2020

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In una di queste sere abbiamo messo fine a un percorso psicologico.
Questi momenti sono sempre ricchi di emozioni e riflessioni, sia da parte di chi era arrivato con le sue difficoltà, dubbi e speranze, sia da parte di chi è stato lì, pronto ad accoglierle.
Quando finisco uno percorso penso sempre a quanto sia importante non diventare la “stampella” di chi ti si presenta in seduta. A non creare un rapporto dove questo spazio sia un porto sicuro dove attraccare per sempre. Con chi viene in studio si lavora infatti sui propri strumenti, si prova a rimettere in moto quelli arrugginiti, e per quelli che mancano si trova una strada per costruirli insieme.
I percorsi psicologici sono delle montagne russe, li si vive con molte emozioni e si accettano sia le impennate ma soprattutto le discese. Si impara a stare anche nei momenti in cui si è a testa in giù, dove la prospettiva cambia e sembra sbagliata, ma con una direzione diversa si riesce anche ad avere nuove visuali. Alla fine quello che ci aspetta al difuori dello studio di un* psicolog* è fatto proprio di alti e bassi, ma essere consapevoli di come si sta sia nelle salite migliori, che nelle discese più difficili, è ciò a cui dobbiamo puntare. La consapevolezza è un’ottima via per il cambiamento.
Chiudere un percorso verso fine anno da anche la possibilità di iniziare a riflettere sugli obiettivi raggiunti in quest’anno così particolare, e a provare a tracciarne alcuni per il prossimo. Anche se la sanzione è quella di muoversi in punta di piedi, l’importante è muoversi.
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Sentirsi "fuori tempo"

20/11/2020

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Sentirsi "fuori tempo".

Quante volte ci capita di percepirci in un tempo che non ci appartiene?
Forse adesso in modo particolare, viviamo sospesi tra l’incertezza e l’attesa.
Fatichiamo a organizzare il nostro futuro e ci ancoriamo al passato, al “com’era”.

Ma chi lo decide il tempo? Alcune tappe di vita sono più scandite, poi però ognuno di noi può essere il proprio diretto d’orchestra che stabilisce quale tempo dare alla propria vita. Pensiamo spesso di avere una data di scadenza e fatichiamo nel riconoscere quanta influenza abbiamo noi, sulle nostre azioni e di conseguenza sulle “tappe” che ci fissiamo.

Si tende a paragonarsi agli altri che ci sembrano più svelti, nel posto e nel momento giusto. Certo, a volte può essere anche così, ma ci soffermiamo mai a capire che strada hanno dovuto percorrere per arrivare lì? Siamo proprio sicuri che loro non si siano incastrati nelle maglie del tempo?
Quello che a volte succede, è che andiamo a cercare delle conferme alla nostra tesi. “Se mi sento fuori tempo, mi confronterò solo con chi ce l’ha fatta” e cadremo in una spirale di frustrazione, che alimenterà solo le nostre sensazioni negative.

Il valore che diamo al tempo è spesso quello di un contenitore, più lo riempiamo di azioni, cose da fare, traguardi, più ci sembra ricco, pieno e valido. Questo aspetto, ci fa vivere la perdita di tempo, proprio come se veramente stessimo perdendo qualcosa. Come se il non raggiungere certe cose, non riuscire ad ottenere immediatamente dei risultati, ci renda automaticamente perdenti. E se cambiassimo prospettiva? Se invece di un contenitore dessimo un'altra forma al tempo? Una forma che può cambiare, modificarsi in base a come siamo noi. Magari riusciremmo anche a non vivere la perdita di tempo come un fallimento, ma come una fase di costruzione, di pause attive e di crescita. La parola perdita ha un’accezione negativa, se le cambio nome e valore, potrei ricavarne qualcosa di positivo.

Come sempre gli altri hanno un impatto, e nel caso del tempo ci influenzano con le loro aspettative. “non hai ancora?” “ma quando ti laurei, sposi, ecc.” provate a completare voi le frasi, sono sicura che avrete molti esempi. Le nostre aspettative sono importanti, se ci facciamo travolgere anche da quelle altrui, rischiamo di bloccarci. Diamo un peso in termini di tempo a alle nostre aspettative, e valutiamo quali, rispetto a quelle altrui, tenere in considerazione che ci motivino e ci aiutino.
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Il tempo è un ottimo insegnate, se siamo in grado di stare attenti alle sue lezioni.
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Photo by Aron Visuals on Unsplash
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La stanza della terapia

16/10/2020

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Che cosa mi aspetta, quindi, una volta andata/andato dallo psicologo?

È fondamentale sentirsi a proprio agio per poter intraprendere un percorso psicologico, pertanto bisognerà trovare lo psicologo “giusto” per ognuno. Non è detto che la psicologa bravissima con cui si è trovata la mia amica, andrà bene anche per me.
Ricordatevi che affonterete diversi argomenti, alcuni più superficiali, ma molti più profondi, per questo sarà necessario sentirvi totalmente a vostro agio con il professionista che siede di fronte a voi.

Empatia ed ascolto attivo sono due delle caratteristiche che ritengono fondamentali per svolgere questa professione. La comprensione degli stati d’animo, mantenendo però un distacco che permetta di ascoltare attivamente la persona, per accompagnarla durante il percorso.

I giudizi sono sospesi, non dovete “apparire” ciò che non siete davanti alla vostra psicologa, non è un luogo dove si giudica, ma uno dove si lavora per stare meglio, quindi parlare liberamente è fondamentale.

Per lavorare al meglio non esistono percorsi “standardizzati” ognuno ha la sua storia e perciò va conosciuta e di conseguenza creato un percorso “su misura” per ognuno.

Ognuno ha i propri strumenti per gestire le situazioni che ci mettono in crisi, a volte sono un po’ arrugginiti, altre volte vanno creati. Ecco che qui interviene lo psicologo.

Lo psicologo non consiglia (se lo fa, c’è dietro una riflessione), ma apre a nuove possibilità costruite insieme all’altra persona.

Ci sarebbero molti altri punti che descrivono questa professione, se ve ne vengono in mente altri sarei felice di leggerli!
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Andare dallo psicologo

6/10/2020

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​Oggi parliamo di come aiutare qualcuno ad andare dallo psicologo.

Questo argomento è sempre molto difficile e delicato, e come tale va trattato.

Per prima cosa bisogna essere empatici e ascoltare veramente i bisogni dell’altra persona e le motivazioni per cui è reticente nel farsi aiutare. Perché finché non sarà la persona stessa ad essere convinta, noi non possiamo obbligare nessuno, ma possiamo imparare a stargli vicino per poi cogliere un altro momento per aiutarlo.

Mostrarsi preoccupati, far capire che la loro sofferenza la percepite e la sentite davvero, è comunque un primo passo per avvicinarvi al problema.

Se l’altra persona sembra non accettare nessun consiglio, provate a suggerire dei libri, dei film che trattano la tematica per la quale pensate la persona stia soffrendo. Dimostrerete attenzione e magari si apriranno degli spiragli per poterne parlare

Infine, se proprio non sapete come fare, provate voi stessi a chiedere una mano ad un professionista, magari, raccontando la storia della persona che vi è vicina e per la quale siete preoccupati, sarà più probabile trovare un aiuto mirato.
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Professione psicologo

22/9/2020

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Le psico-riflessioni di questa settimana saranno leggermente diverse dal solito. 
Per queste tre giornate vorrei portarvi nel mondo della mia professione.
Iniziamo con uno dei primi "scogli" che mi trovo ad affrontare spesso: “Io non vado dallo psicologo perché...” vi ho lasciato un po’ di frasi tipiche nella foto, ma sono sicura che verranno in mente tante altre anche a voi.

Chi va dallo psicologo può avere la percezione che gli altri lo guarderanno come “matto”, senza tenere in considerazione che chiunque di fronte ad un malessere tende a chiedere aiuto. Perché non per forza bisogna aver subito dei traumi, o essere in una situazione senza via d’uscita per rivolgersi allo psicologo, si può anche aver bisogno di un aiuto per alleviare delle sofferenze che da sole faticano ad andar via.

Non bisognerebbe mai svalutare chi chiede aiuto, perché sta compiendo dei passi verso il suo benessere.

È difficile prevedere la durata del percorso, ma questo non vuol dire che si rimarrà per sempre agganciati al proprio psicologo. È una relazione che si costruisce nel tempo ma che non è vittima del tempo.

Gli amici sono fondamentali, ma non sempre hanno un occhio esterno su di noi, tanto da aiutarci a vedere le situazioni in un'altra prospettiva. Un professionista, oltre ai suoi studi e competenze, ha anche dei filtri per analizzare al meglio la situazione.
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Ci sono altri tabù che vi vengono in mente in merito a questa professione?
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L'overthinking- I pensieri ricorrenti

16/9/2020

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Le psico riflessioni di questa settimana riguardano l’overthinking, ossia quella modalità per la quale tendiamo a pensare in maniera ricorrente a un problema o una situazione.

Come sempre ciò che viene portato all’estremo risulta dannoso, infatti il pensare, il riflettere non ha nulla di negativo, ma quando lo diventa? Quando la mia mente è come se venisse offuscata, riempita solo da quel problema, da quei pensieri, e io non riesco più a concentrarmi su nient’altro. La mente ha bisogno di spazio per produrre dei pensieri utili.

L’overthinking consiste nella modalità di pensare in maniera ossessiva e spesso sconclusionata, ai problemi. Mi focalizzo su una situazione e nella mia testa si creano mille pensieri, senza però un filo logico che potrebbe portare a una soluzione. Avete presente quando nei computer si aprono mille icone per un errore di sistema? Ecco è un’immagine che credo renda bene l’idea. Abbiamo mille finestre aperte nella nostra testa, ma in realtà non riusciamo a concentrarci su nessuna. Inoltre, più penso a qualcosa più le conferisco un peso, un potere, quindi quelle mille finestre le percepiscono come molto pensati e la mia serenità ne risente.

Come gestire quindi questo sovraffollamento di pensieri?

Innanzitutto, facendo un po’ di pulizia. Concentriamoci su un pensiero alla volta e cerchiamo di capire se è in nostro potere gestirlo, dandogli anche un aspetto temporale e delle azioni pratiche da seguire. Quindi, prendo una di quelle finestre che ho aperto dentro la mia testa, e mi chiedo, questo quando lo posso risolvere? Se è un problema lontano nel tempo, posso provare a lasciarlo lì, se invece è un qualcosa più vicino a noi, posso passare all’azione. Mi dovrò chiedere che azioni concrete devo fare per poterlo risolvere.

Il tempo è molto importante, perché i pensieri ricorrenti tendono a occuparne molto dentro di noi, ma essendo disordinati/sconclusionati, in realtà gli dedichiamo un tempo poco fruttuoso. Dobbiamo distinguere il tempo di qualità, dalla quantità di tempo che dedichiamo a un problema. Se proprio non riesco a distarmi dai pensieri ossessivi, non vi farò qui l’elenco dei mille modi per farlo, sono sicura che ognuno di voi sa quali sono le proprie modalità più funzionali per potersi distrarre (ricordate che in un percorso psicologico si lavora proprio per “cucire” intorno alle persone le risorse più utili per lui/lei). Avrebbe senso dedicarli del tempo funzionale e limitato. Ad esempio, mi prendo dieci minuti la mattina, in cui mi concentro e analizzo il problema, gli do spazio, e soprattutto sento che tipo di emozioni mi suscita. Dopo tempo inteso e limitato, devo provare a staccarmi. Non faccio espandere questi pensieri a macchia d’olio.

L’ovethininkg è collegato anche all’ansia di controllo, perché più penso a qualcosa più la vorrò controllare perché mi da la sensazione di alleggerirmi da quel problema, in realtà metto in atto un circolo vizioso che mi porta ad aver bisogno di controllare ogni cosa. Ma è veramente possibile farlo? Per fortuna no! Ed è una cosa positiva, pensate a quanto sarebbe poco spontanea la vita di ognuno, ma soprattutto a che responsabilità enorme avrei io se dovessi controllare tutto. Devo accettare che alcune cose possano sfuggire dal mio eccessivo controllo, è un pensiero irreale controllare tutto.

Mi piace sempre fare un piccolo riferimento alla cornice in cui ci troviamo, ossia i social, il collegamento al tema di oggi, in questo caso è, che siamo anche iper stimolati. Ecco la grande stimolazione che ci danno i social, il poter reperire molte informazioni, saltando da una parte all’altra, le immagini veloci che ci scorrono davanti, possono assuefarci nell’avere la mente sempre piena di stimoli. Siamo abituati a cercare stimoli sempre più veloci, invece di soffermarci a guardare veramente quello che abbiamo di fronte. 
 
 
Concludo queste psico riflessioni con questa frase: “Viviamo i pensieri ai quali crediamo”. Quindi voi a quali pensieri credete? Barbara Berckhan.
Perché se non mi do tempo di pensare in maniere costruttiva, se non mi ascolto, non capisco che emozioni mi provocano certi pensieri, vivrò con ansia e difficoltà certe situazioni della mia vita.
Per voi quali sono quei pensieri che sentite gestiscono la vostra vita?

Attendo con piacere i vostri feedback! 
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Il giudizio degli altri

9/9/2020

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Vorrei iniziare le psico riflessioni di oggi con questa frase: “la più grande prigione in cui le persone vivono è la paura di ciò pensano gli altri” di David Icke.

Il tema di oggi è appunto il giudizio, quello degli altri ma soprattutto il giudizio che riserviamo a noi stessi.

Da psicologa sono abituata a condurre le sedute, gli incontri, con molte domande, che sono poi un po’ il fulcro del mio lavoro, e pensando proprio a come trattare l’argomento di oggi, ho pensato che sia più utili all’inizio farci qualche domanda e poi passare alle riflessioni vere e proprie.

Innanzitutto, quanto mi faccio condizionare dagli altri? In quali contesti? I giudizi mi influenzano così tanto da non permettermi di agire?
E poi, che potere do ai giudizi degli altri? Se gli conferisco molto potere, perché, quindi, pesa di più il giudizio altrui, rispetto a quello che pensiamo noi, di noi stessi? Chi ci sta giudicando più duramente, noi o loro?

Le domande potrebbero essere infinte, ovviamente connesse alla situazione di ognuno, ma provate già a farvi queste che vi ho appena elencato, prima di passare alla seconda parte di questo articolo.

Spesso i giudizi ci colpiscono così duramente perché pensiamo di non meritarci certe cose, e mettiamo in discussione noi stessi totalmente, più che tenere conto solo di una piccola parte a cui è legato il giudizio.

Quando ci sentiamo giudicati è come se gli altri ci bloccassero nell’agire, ci tarpassero le ali, ma noi dobbiamo a noi stessi un valore, che ci permette di raggiungere ciò che desideriamo. A volte, però, è anche comodo nascondersi dietro i giudizi altrui, “se hanno detto che non posso farcela, che sono sbagliato” ecc, sarà così e di conseguenza non mi impegno nel modificare la mia situazione. Perché, cambiare veramente, richiede uno sforzo, e a volte permettere che i giudizi altrui ci blocchino, serve un po’ come scusa.

Bisogna rinforzarsi nel dire la propria opinione, vi ricordate il tema dell’assertività? Lo trovate nell'articolo dedicato alla comunicazione. È importante avere una comunicazione assertiva perché oltra a permetterci di esprimere quello che realmente pensiamo, senza offendere nessuno, ci aiuta a crearci anche una corazza nei confronti dei giudizi altrui. È come se ci allenassimo a credere in noi stessi, imparando a dire quello che pensiamo, senza temere le ritorsioni altrui.

Dato che i giudizi non li possiamo evitare per sempre, è necessario saperli gestire. Ecco perché il tema del “peso” dei giudizi è molto importante. Siamo noi che decidiamo che potere dare agli altri e di conseguenza anche ai loro giudizi. È innegabile che alcune persone facciano più breccia dentro di noi (famiglia, lavoro, amici), ma abbiamo sempre noi il potere di misurare il peso del giudizio. Perché la critica non dice solo qualcosa su chi è diretta ma dice molto anche su chi ha espresso quel giudizio, vi riporto qui una frase che trovo molto significativa per esprimere questo concetto: “ciò che dite sulle persone parla di voi quanto di loro”. Quindi che cosa mi dice quel giudizio che mi è stato fatto, in riferimento alla persona che lo ha espresso?

Quando veniamo giudicati riusciamo a soffermarci e chiederci perché ci viene fatto quel commento? Magari la persona dall’altra parte voleva aiutarci ma ha sbagliato il modo, lo si può quindi aiutare ad esprimere i propri concetti in maniera più funzionale. Oppure la persona quel giorno era particolarmente arrabbiata, frustrata e ha usato noi come capro espiatorio per i suoi di problemi. In entrambi i casi possiamo prendere il giudizio e guardarlo con una lente diversa rispetto alla lente che si usa di solito, ossia quella che “se mi dice che sono così è vero”. Un dettaglio di me diventa il tutto.

Temere troppo i giudizi degli altri, può diventare spesso un limite. Avete mai sentito nella vostra testa una vocina che vi ha fermato ancora prima di iniziare una cosa perché “chissà cosa penseranno di me?”

Nel mondo dei social siamo spesso nel mirino dei giudizi altrui, ovviamente dipende da quanto decidiamo di esporci. È più facile sia essere giudicati che essere giudicanti in questo mondo, perché siamo “protetti” da uno schermo. Un buon modo per gestire le critiche altrui è anche quello di allenarsi nel criticare meno, più mi disabituo nel criticare l’altro, più probabilmente vedrò le critiche che mi arrivano in maniera diversa, proprio perché siamo noi il giudice più severo con il quale poi confrontarci.

Ricordate, il giudizio può raccontare solo una piccola parte di noi, mai il tutto, sta a noi selezionare anche chi tenerci vicino che può o meno criticarci, sempre però in maniera costruttiva.
 
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L'importanza dell'atteggiamento mentale

2/9/2020

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Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione dove avete percepito che non c’erano vie d’uscita, che le cause al problema erano solo esterne? Oppure avete ammirato (e non parlo d’invidia apposta) qualcuno per la sua capacità di gestire una situazione per voi complicata? Ecco, spesso qui gioca un ruolo fondamentale l’atteggiamento mentale. Più io mi convinco di saper fare qualcosa, più sarò in grado di saperla gestire. Perché ho citato prima la positività, perché l’atteggiamento mentale più utile è di tipo positivo e concreto.
Se ogni volta che mi succede qualcosa le prime cose a cui penso sono i problemi e non le soluzioni, potrei incastrami in un vortice di negatività. Se penso che una situazione non cambierà mai, non farò niente per di conseguenza cercare di cambiarla, perché la vedo senza uscita. Avere invece un atteggiamento mentale positivo, che mi aiuta a trovare delle strategie diverse per uscire da una situazione è molto più risolutivo. Perché se penso che ci sia una via d’uscita, la cercherò!

Ed ecco il secondo punto di oggi, la profezia che si autoavvera. Questo termine fu coniato dal sociologo Robert Merton, e fa riferimento ad un fenomeno mentale secondo cui più siamo convinti delle nostre aspettative, più queste possono verificarsi. Ma quando questo diventa un problema? Quando il nostro atteggiamento mentale ci porta a pensare che non siamo in grado di fare qualcosa e di conseguenza, ci si comporterà come se quella cosa non la meritiamo, così da non ottenerla. Si tende quindi ad autosabotarsi. Si va incontro a quello che si aveva ipotizzato.
Cambiando atteggiamento, si può arginare questa situazione.

In questo caso la tecnica del “come se” può venirci in aiuto. Agire come se quella cosa fosse già nostra, come se fossimo in grado di avere un certo comportamento/carattere. Come se i nostri obiettivi fossero già stati raggiunti. Questo non vuol dire che è sufficiente fare solo in questo modo, ma iniziare ad agire anche solo immaginando quel tipo di comportamento, ci porta alla consapevolezza, che è alla base di ogni cambiamento. Ad esempio, se mi comporto come una persona coraggiosa al lavoro, che sa affrontare il suo capo, potrò iniziare a mettere in atto dei comportamenti che veramente mi faranno superare la paura.

Ed ora qualche domanda per voi:
Avete mai pensato all’importanza dell’atteggiamento mentale?
Avete mai provato la tecnica del come se in qualche situazione?
​Oppure vi è capitato di autosabotarvi andando incontro alle vostre aspettative negative?
Sono curiosa di ricevere dei vostri feedback.

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